Crociera nella baia di Matsushima

È CASA O MONDO?

Sentirsi a casa in tutto il mondo

di Laura Pedrali

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Crociera nella baia di Matsushima

La baia di Matsushima è annoverata tra i tre luoghi più panoramici di tutto il Giappone, con il torii di Miyajima e la lingua di sabbia di Amanohashidate. La baia di Matsushima sembra essere così bella che è protagonista di una leggenda. Si narra che il poeta Matsuo Bashō – considerato il maggiore esponente della poesia haiku giapponese, qui qualche informazione in più – sconvolto da tanta bellezza non riuscì a trovare le parole per comporre un haiku e che quindi la poesia reciti così:

松島や
ああ松島や
松島や

Matsushima ah!
Aah, Matsushima, ah!
Matsushima, ah!

Beh, io ero curiosa come una faina, non potevo certamente non andarci nel mio ultimo viaggio giapponese. Non ho ancora pubblicato quel delirio di itinerario che ho utilizzato, ma lo farò senz’altro. Di quel viaggio trovate un post qui e poi qui e infine qui. Per il momento.

Arrivando da Sapporo, mi sono fermata nella città di Sendai che ho usato come base per la visita alla baia di Matsushima.

Dalla stazione di Sendai ho preso un treno locale per Ishinomaki con la linea JR Senseki, purtroppo però il treno non arrivava fino a capolinea, ma si è fermato in una stazione sperduta. Mi sono armata di coraggio e ho guardato la tabella con gli orari dei treni, esattamente questa:

E in quel preciso momento mi sono ricordata di tutti quegli amici che con gli occhi fuori dalle orbite mi chiedono perché diamine studio il giapponese. Per sopravvivere. Nonostante questo, nonostante io abbia riconosciuto la scritta con la cittadina in cui dovevo fermarmi, non ho proprio capito quale fosse il treno in arrivo. Così ho chiesto a una gentile signorina che come sempre era spaventata nell’ordine per i seguenti motivi: 1) qualcuno le stava parlando, 2) quel qualcuno era occidentale, 3) quel qualcuno occidentale le parlava in giapponese. Superato lo spavento, la signorina sorride e mi dice di guardare insieme a lei la già citata tabella dei treni. Risultato: neanche lei la capisce. Sorride di nuovo. Sorrido e penso che al massimo andrò a caso, come avevo fatto fino a quel momento tra l’altro.

Arriva un treno, ci guardiamo con incertezza, la signorina chiede informazioni al capotreno con guanti bianchi e mi dice di salire, è il mio treno. Sale anche lei, si siede di fronte a me.

Quando sono sola in Giappone sono giapponese. Occupo il minor spazio possibile, non emetto suono se non necessario, quando parlo sibilo suoni subsonici. Questo atteggiamento ha attirato molti giapponesi nei miei giorni di solitudine. Infatti la ragazza non smette di sorridermi. Deve scendere prima che io arrivi alla mia fermata di HonShiogama 本塩釜, si avvicina e si assicura che io abbia capito che devo scendere alla prossima. Annuisco e la ringrazio silenziosamente. Mi saluta silenziosamente. Come si fa? Andate in Giappone e capirete. Silenziosamente.

Arrivo a HonShiogama, esco dalla stazione e… fermi tutti. Dove diavolo è il mare?? Se devo fare una crociera deve esserci dell’acqua minimo, no? Niente, c’è sola una cosa da fare. Apro la mie mappe offline maps.me che mi hanno sempre salvato la vita in Giappone e infatti compare sullo schermo del cellulare un’enorme chiazza blu: il mare. Attraverso una zona industriale senza una sola anima, solo macchine e camion, cerco di attraversare una tangenziale a piedi, non ci riesco, il semaforo non scatta mai, potrei diventare vecchia aspettando. Vedo un ponte che porta al porto commerciale. Cambio strada.

Man mano che mi avvicino al porto mi chiedo se ci sarà ancora vita, se ci lavora qualcuno, se boh. La struttura è vecchia, decadente, incrostata. Le barche sono tutti pescherecci.

C’è solo un piccolo bar, che è chiuso e non si vede nessuno. Non incontro persone a piedi da mezz’ora. L’unica cosa a cui penso è “sono pazza”.

Scendo da delle scale che boh, scorgo una porta che è un altro boh, entro e scopro che ci sono alcuni negozietti con delle simpatiche nonnine. Mi guardano stupite e mi chiedono: “ チケット?” cioè vuoi fare il biglietto? Certo che sì, voglio il biglietto della crociera della baia!! Indicano laggiù.

Che dire delle maniglie-pesce della biglietteria? 

Arrivo laggiù e la signorina allo sportello sta chiaccherando con un marinaio, mi guardano stupiti e mi chiedono se voglio fare la crociera. “もちろん” rispondo io, ovviamente! Allibiti mi danno il mio biglietto, mi informano che la nave parte tra venti minuti dal molo 4.

Dopo essermi fatta un selfie con un Babbo Natale di Matsushima che sta alla voce “kitsch” di Wikipedia, vado a vedere qual è il molo 4. Tra diversi pescherecci ecco delle navi ed è lì che mi dirigo. Mi rincorre un tizio. È il comandante. Vuole darmi il benvenuto a bordo e farmi vedere dove mi posso sedere. Una nave intera da 200 posti, totalmente vuota. Il mio posto è ovunque. Certo, è dicembre, i giapponesi visitano con frequenza la baia di Matsushima, ma non in inverno. Ecco perchè tutti mi guardavano allibiti. Il comandante ride e mi dice che ho un sacco di spazio. “Hai gli orecchini di Totoro” mi dice. “Eccerto” rispondo io.

Così partiamo. Da sola su una nave. Rido ancora moltissimo.

Sfodero la macchina fotografica, potrò fare tutte le foto che voglio senza che nessuno mi passi davanti. Da quando ero arrivata in Giappone non avevo più un solo pensiero, avevo raggiunto la massima serenità. Camminavo senza perdere il sorriso, magari non parlavo per giorni se non il minimo indispensabile. Avevo scoperto di essere tanto forte quanto nemmeno credevo. Sogno spesso di tornare a quei giorni spensierati dove l’unica cosa da fare era l’avventura.

Comunque parte la crociera con spiegazione in giapponese. Questa baia è famosa perchè è composta da oltre 200 piccole isole, rocce e scogli coperti di pini. Per un occidentale è uno scenario carino, ma nulla di che. Io lo adoro, è tremendamente malinconico con questa nebbiolina leggera, il silenzio totale, questi scogli che ricordano ognuno qualcosa e il gioco è dargli un nome, come con le nuvole.

La gente scappa dalla malinconia, io ci affondo le mani come Amélie quando le tuffa in un sacco di legumi. È un sentimento così ambiguo da lasciare spazio a tutti i pensieri del mondo.

Arrivo a Matsushima, c’è proprio un paesello che si chiama così e con il treno potreste scendere qui e fare la crociera al contrario fino ad HonShiogama. Ci sono già delle persone in coda per la crociera.

Mi ero fatta un elenco di cosa volevo vedere, ma il paesino è piccolo e soprattutto evidente. Di fianco al molo c’è lo storico santuario di Godaido che sorge su un piccolo isolotto poco distante dalla terraferma e successivamente c’è il lungo ponte Togetsukyo dal classico colore rosso che porta ad un’isola più grande, l’isola di Oshima. L’ingresso è a pagamento, solo per la cronaca. Visito l’isola con panorama mozzafiato su questa baia che è stata risparmiata dallo tsunami del 2011.

Torno poi al santuario di Godaido e proprio lì di fianco c’è un baracchino con poche panche, spartanissime, all’aperto e vista mare. Qui si mangiano solo molluschi. La conchiglia è il piatto, un bicchiere d’acqua e via. Mi gusto una capasanta e dei molluschi che non avevo mai visto in vita mia. Adoro. 

Parto alla scoperta del famoso santuario di Zuigan-ji inizialmente costruito nell’800 e ricostruito nel 1600 dal feudatario locale Date Masamune (il cui elmo è diventato simbolo della Prefettura di Miyagi, dove si trovano Matsushima e Sendai). È il santuario zen più importante di tutto il nord del Giappone ed è anche patrimonio nazionale. Annesso al santuario c’è anche un museo di arte completamente gratuito.

Incontro forse due persone in totale. Mi dirigo verso la stazione per tornare a Sendai e scorgo una cosa che mi fa immediatamente sentire a casa.

Un uomo guarda un cantiere. Tutto il mondo é paese, dunque.

Arrivo alla stazione, é minuscola e il treno per Sendai (stessa linea JR Senseki dell’andata) è appena passato. Pace, anzi, in quei giorni di totale serenità nulla poteva intaccare la mia bolla. Mi siedo e aspetto, silenziosa e immobile. Arriva una nonnina, si siede a tre sedili di distanza. Inizia a guardarmi, poi di nuovo e poi di nuovo ancora. Non posso biasimarla, si sarà chiesta cosa diavolo ci facessi lì. Lentamente si alza, prende tutte le sue cose e si siede proprio di fianco a me e dando per scontato che io parli giapponese fa un sospiro e mi chiede: “どちらからですか” – “da dove vieni?” Inizia una conversazione incredibile.

Mi chiede se sono stata al santuario Zuigan-ji.

“Certamente” dico io.

“Come facevi a conoscerlo?” chiede lei.

“L’ho letto.”

“Aaah.” Rumore di lei che fruga in borsa e ne estrae una cartolina. “Questa te la regalo, è una cartolina del santuario con la data e il mio nome.” Rumore di lei che estrae dalla borsa un foglio di carta e mi riscrive gli ideogrammi del suo nome per farmi vedere la corrispondenza con la cartolina.

Cerco di dirle che non posso accettare.

“Tu difficilmente tornerai qui, io vengo quando voglio.” rincalza lei.

Accetto e ringrazio con tutta la riconoscenza di cui sono capace.

“Sai, con un gruppetto di amiche visito il Giappone” continua. Rumore di lei che estrae una macchina fotografica compatta e la accende. “Sai questo cos’è?” mi chiede.

“È il vulcano Sakurajima, nel golfo di Kagoshima” le dico io.

“Aah. Lo conosci?”

“Sì, ci sono stata, molto bello.”

“E questa foto?”

“Ah, il castello di Himeji” rispondo.

La nonnina è sempre più sorpresa, mi mostra una serie di fotografie, ma le conosco tutte quante, ogni tanto fingo e dico: “No, questo cos’è?”

“È il Palazzo dell’Imperatore a Tokyo”

“Aah!”

Questa nonnina è dolcissima, mi sento a casa. Fruga ancora nella borsa e mi porge un portachiavi. L’ha fatto lei con scampoli di kimono e un piccolo sonaglio. Insiste che anche questo è un regalo. Io ormai ho il cuore sciolto, cerco qualcosa da regalarle a mia volta, ma lei mi ferma con un gesto deciso. A lei va bene così.

Arriva il treno, sa che so che è questo, ma lei ormai è la mia nonnina e quindi ci tiene a ribadire che é il nostro treno, che dobbiamo affrettarci.

I sedili di alcuni treni locali in Giappone hanno colori diversi per segnalare quelli per anziani e quelli standard. Quel giorno il treno aveva in unica striscia di sedili morbidi che a metà cambiava colore. La lascio sedere nell’ultimo posto per anziani e io mi metto di fianco nel colore per laqualunque. Come due strane amiche, come due pianeti diversi, ma vicini.

Apre nuovamente la borsa e tira fuori un’arancia enorme. Dice: “questa è un’arancia di Kumamoto. Vedi il bordo molto alto attorno al picciolo? Le arance di Kumamoto sono tutte cosí”.

La apre e me ne dá tre quarti, non esiste. Le dico di no. Insiste. Nooooo. Me la molla sullo zaino. La rompo ulteriormente a metà e le do una parte, lei dice assolutamente no. Gliela mollo sulla borsa.


Mangiamo insieme, ognuna tiene il proprio sporco in mano: nocciolini e buccia. Finiamo l’arancia e lei mi apre a forza la mano e si prende il mio sporco.

Senti nonnina, vuoi che piango? No, perché tra un po’ apro i rubinetti.

Arrivo alla stazione centrale di Sendai, lei mi ricorda che devo scendere. Mi guarda con gli occhi acquosi. Ci salutiamo così, semplicemente come ci siamo incontrate.

松島や
ああ松島や
松島や

Matsushima ah!
Aah, Matsushima, ah!
Matsushima, ah!